mercoledì 8 agosto 2012

La tentazione di un Gesù fatto su misura. A colloquio con Karl-Heinz Menke (Cutaia)

A colloquio con Karl-Heinz Menke

La tentazione di un Gesù fatto su misura


di Roberto Cutaia


Il deficit nell'uomo odierno nel “fare esperienza” dell'amicizia con Gesù è tale che, per dirla con sant'Anselmo d'Aosta, homo perdidit beatitudinem ad quam factus est, et invenit miseriam propter quam factus non est(l'umo ha perso la felicità per la quale era fatto e ha trovato la miseria per la quale non era stato fatto). Abbiamo fatto qualche domanda su questo tema a Karl-Heinz Menke, dell'università di Bonn.


Il suo volume del 2008 Jesus ist Gott der Sohn è stato citato da Papa Benedetto nella seconda parte del libro Gesù di Nazaret.


Con l'ultima edizione riveduta della mia cristologia ho voluto rispondere al fenomeno del nostro tempo, che il Papa ha definito fin dall'inizio del suo pontificato come relativismo. Un tratto caratterizzante la cosiddetta post-modernità è la tesi delle molte verità collegata alla cosiddetta teologia pluralista delle religioni. Secondo la visione relativista e pluralista Dio è il trascendente al quale si riferiscono tutte le religioni in modi diversi, senza che nessuna di loro possa rivendicare più verità rispetto alle altre. Questo punto di vista è particolarmente popolare perché permette alle persone di identificare la verità con le proprie visioni. Il cristianesimo è diametralmente opposto a questa tendenza. Per il Nuovo Testamento Cristo è ciò che è espresso nelle forme del Credo della tradizione cristiana: non è semplicemente uno tra altri interpreti del Dio trascendente, ma l'auto-comunicazione del Dio trinitario.


Da qui il richiamo del Papa al ritorno della comprensione dell'ultima cena e della morte in croce di Gesù?


L'origine dell'Eucaristia dopo la Pasqua -- secondo quanto scrive Papa Benedetto -- non si spiegherebbe senza che lo stesso Gesù sia offerto come vittima nel sacrificio. Chi poteva permettersi di farsi venire in mente una cosa simile? E la cosa ancora più sorprendente è che i primi cristiani -- chiaramente già negli anni Trenta -- abbiano accettato senza protestare una cosa simile, senza considerarla affatto tale invenzione. Le parole di Marco, 14, Matteo, 26, Luca, 22 e i Corinzi, 2 spiegano, con tutte le differenze, nei dettagli, le sofferenze e la morte di Gesù come una trasformazione della morte violenta in un atto libero di auto-sacrificio. Solo così Egli può servire nella Cena in modo proattivo. Nel capitolo intitolato «La morte di Gesù come espiazione e salvezza», Papa Benedetto ha dichiarato che la sua cristologia di espiazione non ha nulla in comune con la cosiddetta teoria della soddisfazione. La crocifissione di Gesù non è necessaria perché Dio lo impone, ma perché il peccato non può altrimenti essere sconfitto. Poichè dunque Gesù è l'opposto del peccato, egli attira l'odio del peccato. E perché Egli è veramente uomo, non lo è solo simbolicamente, ma in realtà vittima di questo odio. Dal Gesù di Nazaret emerge un Figlio di Dio reale come solo i santi hanno saputo sperimentare nei secoli.


Mentre i cristiani in ogni tempo rischiano di costruirsi un Gesù “comodo”, a propria immagine e somiglianza.


Il primo volume su Gesù di Nazaret scritto da Papa Benedetto lo ribadisce quasi in ogni pagina: gli scritti del Nuovo Testamento cercano di evitare tutti i fraintendimenti che risultano dalla separazione di un Gesù storico dal Gesù delle interpretazioni. Tutti i tentativi di trovare fatti come tali o parole autentiche di Gesù sono illusorie. Gli scritti del Nuovo Testamento sono l'espressione della fede dei credenti del primo secolo. La verità non è il Gesù passato e sepolto, ma il Cristo vivente; e i credenti di tutti i secoli sono in comunicazione con il Cristo vivente. Il singolo credente può errare, ma non la comunità totale di tutti i credenti.


Tra le cristologie da riscoprire nel nostro tempo quella rosminiana rivela un'affinità sorprendente con la concezione ebraica del tempo e della Torah. Dunque nuova linfa al dialogo ebraico-cristiano?


La cristologia del beato Antonio Rosmini, a mio avviso, è senz'altro lungimirante, perché a differenza della teologica scolastica contemporanea valuta a fondo anche l'umanità di Gesù, la sua anima radicalmente ebraica. Rosmini presenta una riflessione molto simile a quella di Papa Benedetto. Per lui, l'umanità del Redentore non è solo un'espressione, un simbolo, un esempio o una traccia dell'azione di redenzione divina, ma ciò che accade nello spazio e nel tempo. Le comunità cristiane dovrebbero trovare la forza come diceva san Giacomo a discorrere su Dio piuttosto che con o contro i fratelli stessi, provocando così divisioni.


La preghiera come antidoto da contrapporre a una erudizione vuota?


Il cristianesimo non è una religione del libro. Perché la verità non è un libro, ma una persona. La Scrittura rende testimonianza alla verità che è Cristo. Solo i credenti possono con il Cristo nell'Eucaristia, nella preghiera e nella comunione nella Chiesa non cadere fuori della verità. Anche la Bibbia deve essere letta e interpretata in comunione con Cristo. La riflessione critica è necessaria per la fede e se non sono in contraddizione, sono reciprocamente fruttuose. Ma la radice di tutta la cristologia è la preghiera.


(©L'Osservatore Romano 8 agosto 2012)

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